Personal Coach: il concetto di responsabilità condivisa

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GIACOMO BRUNOCiao ragazzi, tutte le specializzazioni del coaching hanno come scopo comune il raggiungimento di qualche obiettivo in un settore della vita, ma perché ciò sia possibile la prima cosa di cui dovrai parlare ai tuoi clienti è il concetto di responsabilità.

La prima cosa da fare è chiarire sin da subito il proprio ruolo e le rispettive responsabilità dicendo: «Io sono l’allenatore e ti fornirò tutte le strategie migliori che conosco, integrate con la PNL; ti darò motivazione e tutto quello di cui hai bisogno, ti aiuterò a estrarre tutte le tue risorse. Però starà a te, come giocatore, scendere in campo e segnare il tuo goal

Coach 360

Coach 360

Questo che vuol dire? Che la responsabilità della buona riuscita del coaching è condivisa tra coach e cliente; non è il coach che fornisce una soluzione, che ti dice cosa fare. Il coach non fornisce soluzioni né dà consigli perché altrimenti sarebbe un consulente; invece aiuta il cliente a estrarre risorse già in suo possesso, facendo domande; queste, come vedrai, sono uno strumento importantissimo.

Questa è la sua responsabilità, mentre quella del cliente sarà di mettere in pratica le strategie indicate dal coach e segnare il suo goal.

Anthony Robbins

Anthony Robbins

Anthony Robbins che è un grandissimo formatore e uno dei coach più famosi a livello internazionale afferma che all’inizio della sua carriera seguiva la PNL nel dettaglio; aveva frequentato dei corsi tenuti dai due fondatori, Richard Bandler e John Grinder, e aveva cominciato a utilizzare la PNL nelle sue sessioni di coaching e nei suoi corsi.

Un giorno, però, proprio alla fine di un corso, arrivò un cliente che un paio di anni prima, a seguito di una sessione di coaching finalizzata a interrompere la dipendenza dal fumo, era effettivamente riuscito a smettere di fumare; in più c’è dà dire che era bastata una sola sessione di mezz’ora per raggiungere l’obiettivo. Malgrado ciò, quella persona giunse da Robbins e gli disse: «Anthony Robbins, tu hai fallito!» e con stupore di Robbins, seguitò: «Ricordi? Abbiamo fatto una sessione per smettere di fumare. Io ho smesso, però adesso ho ricominciato.»

Robbins, che voleva capire meglio come erano andate le cose, chiese: «Sì, ma quanto tempo è passato dal momento in cui hai smesso a quello in cui hai ricominciato?» E il cliente: «Sono stato due anni senza fumare; fumavo cento sigarette al giorno, tu mi hai aiutato a smettere, però adesso ho ricominciato. Ciò dimostra che hai fallito.»

E Robbins, che certo non è uno sprovveduto, sentendosi dare del “fallito” replicò: «No, aspetta un momento. Mi stai dicendo che fumavi cento sigarette al giorno, che grazie a me hai smesso di fumare per due anni, che solo ora hai ricominciato e IO avrei fallito?» «Sì», rispose il cliente, «hai fallito perché mi hai programmato male!»

Robbins capì, grazie a questa esperienza, che la metafora usata nella denominazione “Programmazione Neuro-Linguistica” poteva portare a fraintendimenti; l’utilizzo del termine “programmazione” era stato infatti deciso da Richard Bandler, appassionato di informatica, per paragonare il cervello umano a un computer. Con ciò voleva intendere che le abitudini, gli schemi che regolano i nostri comportamenti sono ripetitivi, cioè agiamo come se stessimo seguendo un programma, un software.

Quindi Robbins si rese conto che chi non conosceva il vero significato del termine “programmazione” poteva facilmente equivocare e pensare: «È il coach che mi programma ad abbandonare un’abitudine o a curare una fobia; io sto lì e aspetto che lui agisca», quasi che il coach dovesse compiere una sorta di magia. Questo è l’inconveniente cui si va incontro se non si capisce cos’è la PNL.

Per cui Robbins, sia per questo motivo sia per ragioni di marketing, cambiò il nome della PNL in NAC, Neuro-Associative Conditioning ovvero Condizionamento Neuro-Associativo. Se il cliente ha delle associazioni a livello neurologico per cui reagisce all’ansia fumando la sigaretta, il coach deve solo cambiare, rompere questa connessione neurologica e insegnare al cliente a condizionarsi nel tempo per mantenere il risultato raggiunto. Il coach fa la sessione di coaching, ma poi è il cliente che deve continuare e raggiungere il suo obiettivo.

Dietro questo aneddoto c’è, quindi, il senso di responsabilità e di condivisione tra coach e cliente, un concetto fondamentale. Il coach non “programma” ma fornisce gli strumenti che il cliente dovrà applicare con responsabilità per raggiungere i suoi obiettivi, guidato dai suoi valori.

E voi che ne pensate del concetto di Responsabilità nel coaching?
Rispondete nei commenti!

A cura di Giacomo Bruno
Autore di Coach 360

Pubblicato il: 23 Dicembre 2008