Come capire che amici si nasce e non si diventa
Capita sempre più spesso di leggere notizie curiose che riguardano i social network e gli amici. Una, in particolare, sostiene che certe aziende, al momento di assumere, attribuiscano una particolare importanza a quanti “amici” o follower il candidato ha su Facebook, Twitter o Linkedin.
Praticamente, più “amici” si vantano nel proprio carnet virtuale, maggiore sarebbe la probabilità di aggiudicarsi un eventuale posto di lavoro vacante.
Risale infatti allo scorso aprile l’iniziativa di Casa.it, portale immobiliare con più di due milioni di utenti al mese, che per scovare un social media specialist, stabilì che tra gli “skills” fondamentali ci fosse anche un network di almeno 150 “amici” su Facebook, 100 contatti su Linkedin e 50 follower su Twitter, oltre agli immancabili “problem solving” e al “decision making”. Candidature ricevute: 300.
C’è anche chi, come Adobe, utilizza i social media come veri e propri bacini per entrare in contatto con i candidati più adeguati, valutando i profili più interessanti contenuti sul web.
Ericsson invece ha aperto dei canali sui social network, come quello su Twitter (https://twitter.com/EricssonCareers) in cui cerca di scovare nuovi talenti.
Sorge a questo proposito una domanda: ma l’amicizia non è un bene sacro? E i beni sacri, è risaputo, non si commerciano, né dovrebbero rappresentare una corsia preferenziale per aggiudicarci qualcosa a cui teniamo.
Qualcuno obietta che lo scandalo non esiste: da ragazzini chi aveva il numero maggiore di invitati alle feste? Il più brillante, il più istruito e il più intelligente, o quello che comunque poteva garantire la casa più grande, i genitori più assenti, lo stereo a più alto volume e la cantina più fornita.
Di conseguenza, l’amicizia di massa è soggetta alle regole della convenienza, e i social network starebbero soltanto togliendo il velo dell’ipocrisia.
In realtà quello su cui bisognerebbe intendersi è il significato della parola amicizia, di cui questi ultimi stanno facendo un uso spregiudicato. Gli “amici” della Rete assomigliano a quelli che si incontrano alle feste dei giovani e nei salotti degli adulti: conoscenze occasionali e relazioni utili.
Gli amici senza virgolette sono pochi ma buoni, così si dice. Bisognerebbe aggiungere che, per essere buoni, devono necessariamente essere pochi, perché un rapporto coltivato in profondità ha bisogno di tempo e impegno, come il lavoro e il matrimonio, il fidanzamento e il gioco in Borsa.
L’amicizia, insomma, va imparata.
E per impararla occorre pazienza, visto che gli amici stanno agli “amici” come l’amore di una vita a un flirt estivo. Ma ormai è tale l’abuso che forse dovremmo cominciare a chiamare gli amici con un altro nome, considerando che quelli veri non si trovano con una semplice cliccata…
A cura di Marina Roveda
Autore di Le Regole dell’Amicizia