Lo sviluppo del baratto (parte 3/10)
Insieme al baratto nascevano però i primi problemi tecnici nello scambio dei beni. Infatti, se un allevatore voleva mangiare della verdura avrebbe dovuto scambiare ad esempio un vitello che però per motivi intrinseci vale sicuramente di più di un paio di patate!
Il primo problema da risolvere era quindi un sistema di rapporti di scambio. Valutare cioè ogni singolo prodotto rispetto ad un altro: ad esempio un coniglio equivaleva a 30 kg di verdura, una casa a 5 pecore e così via.
Ma ciò non bastava; infatti se il nostro allevatore voleva comprare della verdura era costretto a scambiare il suo animale con molta verdura (nel caso migliore un coniglio con 30 kg di verdura, ma poteva avere a disposizione solo animali più costosi come pecore o cavalli) e quest’ultima se non consumata rapidamente finiva con il marcire.
D’altronde non avrebbe avuto senso dividere l’animale in piccole parti in quanto esse si sarebbero deperite ancor più velocemente della stessa verdura. Avrebbe senz’altro potuto scambiare la verdura in eccedenza con altri beni, tipo legname o altro, ma non è detto che in tempi brevi riesca a trovare un’altra persona a cui occorreva la sua verdura in eccedenza.
Il secondo problema fu quindi quello di trovare un mezzo di scambio comunemente accettato e che non deperisse rapidamente. Inoltre, tale mezzo doveva essere anche facilmente frazionabile per poter effettuare scambi con oggetti di valore relativamente basso e che potesse essere utile anche per oggetti molto costosi. Infine doveva essere anche facilmente stoccabile.
Il mezzo che, secondo gli archeologi, si è meglio adattato a questo scopo fu il grano. Esso non deperisce velocemente, è facilmente frazionabile (un kg di grano può essere diviso in numerose parti fino al singolo chicco) e, pertanto, adatto a poter “comprare” anche pochissima roba. Era sicuramente un bene comunemente accettato visto che era usato dalla gran parte delle comunità e delle sue capacità nutrizionali che lo rendono (ancora oggi) uno dei migliori alimenti a disposizione dell’uomo.
Infine era stoccabile in silos senza la preoccupazione che esso potesse morire per via di un attacco di bestie feroci oppure che scappasse con le proprie zampe e non necessitava di spese eccessive per il suo mantenimento. Infine possiamo ipotizzare che un altro grosso vantaggio era la difficoltà per i ladri di rubarlo giacché è difficile sottrarne grossi quantitativi senza essere notati.
Ma questo non bastò agli scambi in quanto l’acquisto di un cavallo o di una casa avrebbe richiesto svariate tonnellate di grano per essere portato a termine e non era detto che un contadino o chiunque altro avesse tale disponibilità di grano conservato da parte. Occorrevano quindi anche dei beni con le stesse caratteristiche (od almeno quanto più vicine a quelle del grano) per poter barattare oggetti più costosi.
Un altro degli elementi utilizzati fu la pecora. Essa non deperisce velocemente (se è viva), non necessita di spese per il suo mantenimento (mangia sì ma produce lana e latte in grado di compensare tranquillamente le spese atte a mantenerla in vita), fu comunemente accettata come bene di scambio e, per spese ingenti, ha una certa frazionabilità (<<ti do 2 pecore e 1 coniglio>>). Tuttavia anche questo mezzo ha dei problemi visto che una pecora può morire o essere più facilmente sottratta.
Grano e pecore furono utilizzate dalla gran parte delle comunità preistoriche (e non solo) per le loro doti: infatti, da essi derivano alcuni termini che tutt’ora sono sinonimo di denaro. Da grano deriva la parola “grana” nel senso di soldi (ad esempio la frase “tira fuori la grana”). Da pecora deriva il termine latino “pecus” da cui a sua volta il termine “pecunia” (celebre la risposta dell’imperatore Vespasiano a suo figlio Tito che gli obiettava l’eleganza di un pagamento su l’uso dei servizi igienici pubblici: “pecunia non olet” in pratica i soldi non puzzano…).
Grazie a queste convenzioni si potevano quindi pagare gli uomini dell’esercito ed eventualmente il capo del villaggio (divenuti in futuro i re) grazie ad uno stipendio effettuato con mezzi di scambio comunemente accettati e pagati in percentuale da tutti gli abitanti.
A Cura di Patrizio Messina,
Autore di “Autoconsulenza Finanziaria”