Qual è l’investimento giusto?
Qualche settimana fa ho letto su un periodico la lettera di un commerciante cinquantenne che chiedeva come investire 200.000 € avuti da un’eredità in modo da crearsi un reddito supplementare all’età pensionistica. Il lettore era indeciso tra un investimento azionario e il classico ”mattone”.
Nella risposta articolata dell’esperto non emerge ne l’una ne l’altra soluzione bensì una terza via rappresentata dal classico Btp.
Questo suggerimento viene giustificato a grandi linee in due modi: primo perché le azioni non danno sufficiente stabilità reddituale e, secondo, l’immobile non da automatica certezza di percepire un affitto ma, in compenso, solo quella di esborsi per il mantenimento dello stesso (tasse, condominio e spese extra).
Pur condividendo l’opinione su quanto riguarda l’immobile devo ammettere che il suggerimento circa i Btp mi hanno lasciato alquanto perplesso. Adesso vi spiego perchè.
Ammettendo per corretta la soluzione dell’acquisto di 200.000 € in obbligazioni italiane, sapendo che rimangono 15 anni all’inizio dell’età pensionistica, il suddetto lettore terrebbe in portafoglio uno strumento che renderebbe solo il 3 % annuo (dando per scontato che reinvestisse le cedole in obbligazioni). In pratica neanche il valore dell’inflazione attuale.
In soldoni, il lettore manterebbe esclusivamente il valore odierno dell’investimento (e anche meno in quanto dobbiamo considerare le tassazioni sui profitti…). Inoltre, al momento della pensione, le cedole non verrebbero piu’ reinvestite pertanto il capitale in questione perderebbe inesorabilmente valore.
Vediamo di fare i conti esatti e osserviamo l’impatto sulle finanze effettive del fortunato ereditiero. Dal momento in cui va in pensione considerando un’inflazione del 3% annua, 200.000 € varranno dopo 10 anni circa 130.000 € odierni e quindi anche le cedole perderanno valore.
Se oggi con il capitale iniziale percepisse una distribuzione di cedola di circa 6.000 € lordi annui (cioè 500 €/ mese), dopo 10 anni queste corrisponderebbero in teoria a circa 300 €/ mese, e così via fino quasi ad una cifra irrisoria.
Già da queste considerazioni si evince che la soluzione prospettata non è adatta allo scopo. Un’integrazione del reddito pensionistico dovrebbe essere per lo meno stabile nel tempo se non addirittura crescente mentre in quel modo avviene esattamente l’opposto (si dice in campo finanziario un’operazione “a perdita di valore”).
A questo punto vi chiederete quale sarebbe la soluzione che avrei prospettato al suddetto lettore. Visto che vuole un reddito integrativo, la scelta più logica è quella di investire parte dell’eredità con dei prodotti creati per costruire una pensione integrativa.
La legge italiana permette di stipulare dei prodotti di tipo pensionistico (usati dal 1° gennaio 2007 anche per i TFR) che possono essere dedotti dal reddito (fino ad un massimo di 5.165€) e che hanno come massima spesa di commissione per la gestione delle stesse il 3% annuo del versato (non di tutto il capitale presente come molti erroneamente pensano).
Supponendo che la sua attività di commerciante porti ad un reddito da scaglione di aliquota al 39% (diciamo 40 % per semplificare i calcoli), può riavere indietro dallo Stato il 40 % di ciò che versa annualmente.
Visto che ci sono 15 anni di tempo utile, sfruttando al massimo la deducibilità, il lettore potrà inserire circa 78.000 € (calcolando il massimale per 15 anni di fila) per i rientrerà in posseso di 31.000 € per la deduzione. In pratica a prescindere dal rendimento del fondo pensionistico, 31.000 € li ha guadagnati sicuramente, soldi che può liberamente reivestire nel fondo stesso.
Su archi temporali di circa 15 anni, le banche in genere consigliano fondi di investimento misti obbligazionari/azionari dai rendimenti medi annuali intorno al 5% (molto di più di quelli che si otterrebbe con i btp…) che fanno aumentare il capitale in modo maggiore dell’erosione inflazionistica.
Adesso ammettiamo che il lettore voglia andare su un fondo completamente obbligazionario che rende in genere il 3% come i btp. I 78.000 € investiti rimarrebbero inalterati nel valore in quanto il fondo renderebbe tanto quanto l’inflazione ma i 31.000 € guadagnati con la deduzione migliorerebbero sensibilmente il rendimento.
Alla fine del periodo di accantonamento il capitale totale inserito nel fondo sarebbe aumentato del 40% (cioè il suo scaglione di aliquota). In definitiva i 78.000 € investiti all’interno del fondo pensione sarebbero diventati in valore effettivo pari a 110.000 €. Se poi consideriamo dei fondi misti azionari sarebbero diventati ancora di più.
Per fare quanto suggerito da me, il giorno della stipula del fondo pensionistico il lettore avrebbe dovuto mettere da parte in un fondo completamente obbligazionario di tipo ETF 73.000 € (cioè 78.000 € – i 5.000 € del primo anno) e poi man mano disinvestire parte delle quote per alimentare il fondo pensione.
I rimanenti 122.000 € potrebbe investirli in svariati modi, tra cui anche dei fondi comuni azionari che, grazie all’ampia diversificazione, avrebbero avuto garantito sia un rischio quasi nullo sia un rendimento molto elevato (raddoppio circa in 15 anni senza considerare ”performances stupefacenti”).
In conclusione: se optiamo per il metodo dei Btp utilizzando tutto il capitale avremmo alla pensione circa 6.000 €/anno di cedole che via via sarebbero scese per via dell’erosione inflazionistica.
Con la mia soluzione il lettore otterrebbe circa 450 €/mese solo dal fondo pensione (e questo vita natural durante) rivalutati dell’inflazione ogni anno (quindi senza perdere mai di valore) ed, inoltre, con il rimanente del capitale un’altra rendita extra direttamente proporzionale al mezzo utilizzato per farlo fruttare. Il che non guasta, vero?
A Cura di Patrizio Messina
Autore di “Autoconsulenza Finanziaria“